domenica 6 marzo 2016

ANGELO GAJA, UN MITO?

Prendendo spunto dal concreto impegno della Fondazione Italiana Sommelier Abruzzo Centrale per portare Angelo Gaja a L'Aquila per una eccezionale conferenza seguita da una esclusiva degustazione dei suoi vini e di etichette estere della sua distribuzione (info: fondazionesommelier.abruzzocen@gmail.com), ma soprattutto dall'ultimo suo "scritto" che ho avuto il piacere di ricevere in anteprima e che potete leggere qui di seguito, ho voluto scrivere queste poche righe per far conoscere la grandezza di quest'uomo anche ai non addetti ai lavori.
L'azienda vinicola di Angelo Gaja nasce nel comune di Barbaresco (CN), e le sue produzioni sono ormai conosciute ed apprezzate in tutto il mondo: vini straordinari, d'elite, longevi, dal prezzo commisurato al blasone che ormai li distingue (o se volete: "dal blasone commisurato al prezzo che li distingue"!).
Angelo Gaja è dunque uno dei fautori della divulgazione del Made in Italy nel mondo, espressione di qualità assoluta e status symbol di valore e prestigio.
Nel 1977 la famiglia Gaja fonda un'azienda d'importazione e distribuzione: la Gaja Distribuzione, che propone in Italia una prestigiosa selezione di vini ed accessori da altri paesi.
E' sua anche la distribuzione dei calici Riedel: celebre cristalleria austriaca leader mondiale nel design di calici da vino.
E se qualcuno pensasse che Angelo Gaja, con la sua indole schiva e discreta, non sia davvero un mito, provate a spiegarmi chi altri può permettersi di non "apparire" quasi mai, di non essere presente agli eventi di grido, di non andare al Vinitaly con uno stand proprio, ed addirittura di avere uno scarno e minimal sito aziendale di una sola pagina www.gaja.it senza alcuna informazione commerciale sui vini?
Quello che segue è l'ultimo "scritto" di Angelo Gaja, in cui possiamo interpretare il suo pensiero sul futuro della viticultura e della sua conduzione "sostenibile", il titolo è solo apparentemente banale e populista, basta riflettere che è l'espressione di chi è riuscito a comunicare con arte e maestria se stesso e l'Italia nel mondo, rinunciando a proporsi con le tecniche che oggi tutti pensano siano la moderna ed efficace "comunicazione", evidentemente il "genio" non segue le mode, le crea.
Onore al merito, ed al mito!
"NESSUNO HA LA VERITA’ IN TASCA
Tra il 1850 ed il 1890 si abbatterono sulla viticoltura europea l’oidio e la peronospora, fitopatologie nuove ed aggressive come non si erano mai viste nei secoli precedenti. I viticoltori dovettero imparare a combatterle sistematicamente con l’impiego di antiparassitari, zolfo e rame, se volevano salvare la produzione d’uva. Come non bastasse, qualche tempo dopo arrivò la fillossera ad innescare la moria delle viti, a seguito della quale si fu costretti ad estirpare la totalità dei vigneti per reimpiantarli successivamente su portainnesto di vite americana, quest’ultima resistente alla malattia. Sembrò a quel tempo che la viticoltura europea ricevesse un colpo mortale. Non fu possibile allora attribuire il disastro al supposto cattivo stato di salute della viticoltura causato da un impiego eccessivo della chimica, perché non se n’era mai fatto uso prima; alla monocoltura, perché si era sempre praticata la policoltura; alla perdita di biodiversità, perché non ce n’era mai stata così tanta. Ci fu un ampio abbandono della viticoltura in favore di altre coltivazioni. Poi, gradualmente, si trovarono le contromisure e nel secolo scorso si individuò nella chimica il mezzo più efficace per contrastare le fitopatologie attraverso l’impiego di antiparassitari, definiti via via anche come fitofarmaci, pesticidi, veleni chimici. E la chimica, a farla da padrona, continuò a fornire altri prodotti ancora da impiegare in qualità di fertilizzanti e diserbanti. E’ nel secolo corrente che prende forza la domanda di una agricoltura che faccia meno ricorso alla chimica e si affermano per il cibo l’esigenza della sanità, a protezione della salute del consumatore, e della pulizia, affinché la coltivazione non divenga inquinante per l’ambiente.
L’obiettivo primario di ridurre l’impatto della chimica in viticoltura viene oggi perseguito con la lotta integrata, che riduce l’uso di antiparassitari integrandoli con prodotti che non sono di origine chimica; la conduzione biologica, che limita l’uso di prodotti chimici ai soli rame e zolfo; la conduzione biodinamica che esclude l’uso della chimica. Ma non ci si può fermare soltanto qui. Vanno utilizzati anche quei sistemi che consentono di arrivare a produrre viti che offrano una buona resistenza alle malattie, inseguendo così l’obiettivo di contenere/abbattere il ricorso alla chimica per combatterle. La recente scoperta del sequenzionamento del genoma della vite offre oggi alla ricerca nuove importanti opportunità: di individuare le viti che ospitano il gene della resistenza (al patogeno) e trasferirlo nel genoma di viti che non lo posseggono. Pratica da avviare attraverso l’impiego di biotecnologie che non sono equiparabili agli OGM transgenici. Andrà chiesto ai vivaisti di dedicare maggiore attenzione al materiale derivante da selezione massale, per non affidarsi totalmente alla selezione clonale che produce viti più fragili. Al fine poi di recuperare salute al vigneto, andranno estese le pratiche che consentono di rafforzare la vitalità del suolo. La strada per abbattere l’uso della chimica nel vigneto è lunga, se la si vuole condurre con successo va percorsa senza paraocchi, utilizzando tutti gli strumenti
disponibili.
Angelo Gaja"
5 marzo 2016






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